Coltivazione di ulivi e zafferano
Lo zafferano
La coltivazione dello zafferano a Polcenigo si può far risalire al 1989 anno in cui i primi cormi vennero piantati a San Giovanni di Polcenigo.
Questa coltivazione, piuttosto laboriosa, richiede molta manodopera manuale; la preparazione del terreno innanzi tutto, con letame maturo e compostaggio ben amalgamato al terreno il quale deve essere di medio impasto ed esposto al sole o per lo meno alla luce.
Importante non porre i cormi in terreni in cui l’acqua ristagni (argillosi) infatti il cormo potrebbe subire danni seri, fino a marcire.
Dopo la semina che avvine nel mese di agosto, si attende che il crocus sativus (varietà autunnale appunto dello zafferano) rinasca a vita nuova. Questo accade solitamente ai primi di ottobre e quindi verso la metà del mese i primi fiori si raccolgono a mano uno per uno ogni giorno.
La fioritura si protrae per tutto il mese di novembre o quasi.
I fiori raccolti giornalmente vengono immediatamente mondati, cioè si estraggono gli stimmi rossi del pistillo dal fiore dal suo tipico color viola; quindi subito essiccati.
Ecco la spezia. Qui a Polcenigo, possiamo vantare una buona produzione non certo di quantità ma sicuramente di ottima qualità in colore, aroma e profumo.
Grazie all’iniziativa di alcuni “imprenditori agricoli locali” e alle caratteristiche del terreno particolarmente idoneo, da alcuni anni nella zona pedemontana, in particolare a Polcenigo, ma anche nella vicina Budoia e Dardago, è iniziata una piccola ma qualitativamente importante produzione di zafferano che sta incontrando un grande interesse ed apprezzamento da parte della ristorazione più qualificata del territorio.
Un mito greco racconta che lo zafferano nacque dalla storia di un bellissimo giovane di nome Crocus che si innamorò di una ninfa di nome Smilace, favorita del Dio Ermes. Il Nume, per vendetta, trasformò il giovane Crocus in un bulbo e così i suoi fiori, dal colore roseo e violaceo, hanno continuato a vivere nella storia come i fiori dello Zafferano.
Di questa spezia, la storia ne parla sin dall’antichità e già tra le pagine della Bibbia, dell’Iliade e dei poemi di Virgilio Omero e Plinio il profumo dell’oro vermiglio è andato a posarsi.
I suoi fiori fioriscono in autunno, accompagnati dalle prime piogge di settembre ed esprimono la massima fioritura nel mese di ottobre e Novembre. Proprio nel momento della loro massima fioritura essi vengono raccolti prima della schiusa per poter prelevarne gli stigmi rosso vermiglio, essenza della spezia, setacciarli e tostarli. Il processo di tostatura riduce il peso degli stimmi di circa un sesto; è per questo motivo che occorrono gli stimmi di circa 200.000 fiori per produrre 1kg di polvere di zafferano.
Tutto ciò ha reso lo zafferano la spezia più costosa al mondo!
Particolarmente saporite e dall’inconfondibile gradazione del giallo, le pietanze che vengono create, dalle sapienti mani dei cuochi locali; molto caratteristico e piacevole il liquore allo zafferano che può accompagnare crostate o biscotti fragranti.
Qualche nota storica sullo zafferano
Noto dall’antichità.
I romani lo aspergevano nei teatri per spargerne il profumo durante gli spettacoli.
Omero lo pone tra i più fragranti odori de’ quali Giove abbia gratificata la terra.
Lo zafferano è descritto da Teofrasto ed in Plinio si trovano le varie facoltà che gli attribuivano gli antichi, e soprattutto quella di vincere tutte le infiammazioni massime quelle degli occhi.
Il filosofo greco Celso lo adoperava come diuretico, detersivo, risolvente, calmante in gran numero di malattie infiammatorie, ne’ dolori, nelle ulcere, nelle suppurazioni, negli avvelenamenti.
Il croco non si disfa nel miele, né in nessuna cosa dolce, ma facilmente nel vino e nell’acqua. È utilissimo in medicina… Provoca l’orina, fa sonno… Il fiore suo si impiastra al fuoco sacro con creta cimolia… Fassene unguento il quale chiamano Crocomigma…Quello è ottimo, il quale gustato tigne e denti e la saliva. (Riportato anche dal Mattioli “Crocomagma” con spiegazione di come si prepara.) Plinio XXI, XX pdf 602.
Il zaffarano ha proprietà di confortar grandemente il cuore e inferisce special forza d’allegrezza, illumina i spiriti, dilata i membri alle cose esteriori: in tanto che alcuna volta l’uso suo abondante ne’ cibi, disparge gli spiriti con allegrezza, alle parti esteriori, perciò hanno detto alcuni che pigliando un’onza, o una dramma, come vogliono alcuni di zafferano l’huomo per allegrezza e riso venerebbe a morire. (Benzo, 1618 – pag.pdf 191).
Spezia preziosa, entra nella cucina medievale. Dapprima essenzialmente come colorante. La base delle ricette è arabo-persiana introdotte passando per la trattatistica dietetica, quindi medicina legata alla teoria umorale. Si cita uno spezzatino agrodolce con piselli colorato con un po’ di zafferano, va a colorare le focacce del Judeb di papavero.
Nel ricettario anglo-normanno si suggerisce una zuppa di salmone con lo zafferano e un gran numero di zuppe, fagioli, porri, cavoli, rape è colorata dallo zafferano, compresa una “Porrata bianca”. Salsa gialla per oche, aglio, farina, sale, latte e zafferano. Lo zafferano è poi usato in maniera diffusa su crostate e carni.
Zuppe analogamente condite con lo zafferano nei libri svevi. Finocchio lessato con ove perdute e e carne di polli. Da notare che si parla già di safrano, non di croco, anche nelle ricette in latino. Ceci rossi in purè, con zafferano. Aggiungere brodo e castagne arrostite. Spesso accostato ai ceci, ai piselli alle fave. Anche qui crostate “coppo” con carne di pollo. Brodetti e gelatine di pesce, anche sardelle e alici con vino greco pepe e saffarano.
Ormai lo zafferano è entrato in pompa nelle cucine. I cosiddetti ricettari di Federico II abbondano di preparazioni con la polvere gialla. Nel medioevo raggiunse la vetta più alta ed occupò un posto altissimo nella cucina e nella farmacia, tanto che fu battezzato “re dei vegetali”, “panacea vegetale”, “anima dei polmoni”.
Nel tardo Medio Evo è usato ampiamente. Il Libro de cocina del XIV secolo, stampato e commentato dallo Zambrini nel 1863, tra ler varie preparazioni cita una sorta di brodetto di cipolle, con carne e formaggio, insaporite con zafferano e pepe da servire in scodelle con uova sbattute e di nuovo un po’ di pepe e qualche pistillo.
Raccomandava l’Artusi “Lo zafferano, se in casa avete un mortaio di bronzo, comperatelo in natura, pestatelo fine e scioglietelo in un gocciolo di brodo caldo prima di gettarlo nel riso”.
Fabbricatori di formaggi di grana o lodigiani. La quantità di zafferano che si consuma per aromatizzare e colorire i formaggi Lodigiani, pareggia forse tutta la quantità di cui si fa dispendio in Lombardia per tutte complessivamente le altre arti. In una sola cascina o fabbrica di detti formaggi, che ne fornisca una forma al giorno, non bastano forse cento scudi all’anno per la sola compera dello zafferano in quella occorrente. (Castiglioni, 1829).
Non per il risotto, dunque, per il formaggio.
Proveremo presto se questo dell’Alto Livenza è all’altezza di quello, anche se non abbiamo modo di compararli, se non per sentito dire. Ma è un’ulteriore nicchia, che può essere sfruttata, la “nuova” coltivazione che si va allargando. Curiosità e passione ispirano nuove fonti per l’arricchimento dell’offerta agricola della Pedemontana.
Capita che il padre di uno studente di agraria trovi per casa una rivista specialistica. Sfogliandola rimane colpito da un testo sulla coltivazione del croco a Navelli, universalmente rinomato. Si fa arrivare a casa un certo quantitativo di bulbi di zafferano d’Abruzzo, non più di trenta. Giusto nel 1989. È una prova per vedere se anche nelle plaghe del Nord si possa coltivare. Il dubbio è che la pianta abbia bisogno di un clima più mite della pedemontana dell’Alto Livenza.
Il primo anno i crochi fioriscono e così il secondo e via di seguito. Si prova il raccolto, mettendo in una carta da forno i pistilli interi essiccati, ridotti poi in polvere con leggera pressione. Segue la prova risotto, non alla milanese, alla liventina. La preziosa polvere viene unita al riso due volte. All’inizio durante la tostatura, per far sì che il riso prenda colore e alla fine, prima della mantecatura finale, per donare il profumo. La pietanza supera l’esame famiglia e la piccola coltivazione amatoriale prosegue per anni… E continua ancora oggi!
Gli ulivi
Prodotto originario della tradizione agroalimentare del Mediterraneo, l’olio di oliva è prodotto in varie zone della nostra regione.
Le olive sono tradizionalmente raccolte da metà ottobre a fine dicembre, su reti, in alcune regioni battendo i rami con bastoni flessibili, in modo da provocare il distacco dei frutti, oppure in altre, attendendo la completa maturazione e quindi la loro caduta naturale dalla pianta. La raccolta a mano, con pettini e sacche a tracolla su lunghe scale a pioli di legno. Questa tecnica è sicuramente dispendiosa nonché lunga, ma dà la possibilità di scegliere i frutti, consentendo di raccogliere frutti integri e al giusto grado di maturazione. Successivamente le olive, inserite in appositi torchi vengono spremute, e da qui un fragrante e gustoso olio che andrà a guarnire tante e tipiche ricette polcenighesi; ma non solo, anche a crudo, sul pane dorato e biscottato, è un ottima merenda per tutti, anche per antipasti ed aperitivi sfiziosi.